ero sudato di ritorno dalla
partita di pallone quando mia sorella affacciata alla finestra - sbracciandosi
come un vortice affannato - mi disse da lassù che era arrivata la mia scrivania
nuova di zecca
“non è vero. non ci credo”
“invece è vero. scommettiamo la
paghetta?”
“sì”
scommettevo spesso e
altrettanto spesso perdevo la paghetta con mia sorella. anche per le cose più
stupide. per dirne una, quando mi raccontò di una sigla televisiva cantata da heather
parisi (che mia nonna chiamava keter parigi, ma diceva anche pippo baldo e maik
buongiorno, mentre quell’avvinazzato di mio nonno diceva craschi perché non
riusciva a dire la ics e bearzoff se per dire bearzot o zoff non lo so, ai
postumi delle sue sbronze l’ardua sentenza) che diceva oè oè mister mandarinooo,
ebbene, io sostenni la tesi della menzogna (nonché del complotto) e
puntualmente persi la posta. ero diffidente e sospettoso, mettevo tutto in
dubbio. dubitavo che il pivello ricky cunningham e i suoi amici pivelli
sapessero suonare splish splash. una volta suonava la chitarra, in un’altra il
sassofono, ralph malph passava poco disinvoltamente dal pianoforte alla
batteria e infine per il basso. con quell’altro la’, potsie, quello con quello
stupido neo sullo zigomo, ma chi volevano pigliare per il culo. ma daaaiiii. e
andiaaaamooo. aborrrrrooooo.
vabbò. erano pur sempre
giorni felici. dan dan dan dannn… eppi dèiss!
quella volta della scrivania
però devo dire che ci speravo, e scommisi più per scaramanzia che per altro.
era fine estate e dovevo cominciare le medie. avevo la fissa della scrivania,
volevo diventare grande, volevo anch’io la mia scrivania con cassetto e
scaffali dove riporre i libri di scuola, la mia postazione strategica dove
risolvere i compiti, ma anche incollare i pezzi dei modellini degli aeroplani
da guerra, comporre i pazzòll, scrivere la mia formazione immaginaria del
bologna.
una volta montata, cominciai
a notare che c’era qualcosa che non andava. mi sembrava fredda, forse perché
spoglia. organizzai un pomeriggio alla standa per comprare quaderni e
cancelleria per adornare la mia nuova scrivania. comprai pure il diario, quello
di jacovitti. con tutti ‘sti addobbi mi sembrava meglio, ma non ero poi tanto
sicuro. boh. non mi convinceva. qualche foto di giocatori del fòtball, la foto
di howard jones. mocchè. nada. dubbi-dubb.
e fu subito scuola. il primo
compito che ci venne assegnato fu quello della prof di italiano. c’era da
scrivere quante più parole straniere che fossero in uso nella lingua italiana,
e mi misi a svolgere alla mia scrivania nuova di zecca. con ben poco entusiasmo
e sforzo scrissi shampoo, whiskey, scotch, tennis, game, set, match. beh sempre
meglio della b.b. (che non era la bardot) che non aveva capito una fava e
scrisse table, cat, dog, sister.
dopo quella volta, ben
raramente c’ho poi studiato o scribacchiato. non c’è un’interrogazione, un
compito in classe, un esame all’università, una patetica lettera d’amore alla
sventurata di turno che me la ricordi, a cui la possa associare. mi sa che una
volta ci lasciai sopra la custodia del sergeant pepper, la massima
considerazione di cui fu degna protagonista. una inutile composizione di
truciolato senza anima.